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26 Aprile 2021

Adelio Ponce de Leon, 10 anni fa l’ultima pagina

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Ha vissuto la caccia da protagonista raccontandone il fascino immenso. Il suo “Club del beccaccino”. La gratitudine di Milano.

Se n’è andato in silenzio, come accade ai protagonisti veri, nella notte fra la Pasqua di Resurrezione ed il lunedì dell’Angelo di dieci anni fa. Ma è come fosse ancora qui nella sua Federcaccia di Milano dove a ricordarne la presenza c’è la targa d’ingresso col suo nome e la stanza, riservata ai dirigenti,  che fu sua. Se n’è andato, a 96 anni, mentre tutti consumavano un giorno di festa e di vigilia. Da allora altri raccontano la sua storia con la malinconia dei verbi al passato e chi l’ha conosciuto sa che lui non può non può non sorriderne in quel volto sereno di uomo sereno. Perché Adelio Ponce de Leon, ultimo dei grandi di Spagna a Milano dov’ebbe quattro secoli fa un avo governatore, era fatto così. Capace di nascondere un immenso dolore dietro il sipario d’una risata o dividere con gli amici un traguardo meritato tenendone solo un poco per sè. Come accadde quando l’allora presidente della Provincia onorevole Guido Podestà, su proposta dell’assessore Luca Agnelli, lo insignì della medaglia d’oro della riconoscenza di Milano in una cerimonia con altri significativi protagonisti della cultura, dell’industria, dell’informazione e della Società civile. E lui disse che divideva il merito con il popolo dei cacciatori, con la gente, con quanti gli volevano bene e strappò applausi convinti .

Amava il piombo con un affetto infinito. Poco importava se tipografico o da caccia. Se destinato a diventare libro, fogli di riviste, articoli di quotidiani o gli facesse conquistare una preda. Giovanissimo e tra i fondatori del Club del Beccaccino nel mitico ristorante Savini in Galleria Vittorio Emanuele a Milano ha camminato nel Novecento insieme a tanti altri personaggi che cercarono la sua amicizia e ne ebbero affetto.

Fu grande fra i grandi, collega di caccia ad Eugenio Barisoni, Giulio Colombo, leggendario presidente Enci, Guglielmo Mozzoni architetto già allora incamminato ad entrar nella storia dell’arte, Luigi Ugolini scrittore di fama internazionale, Alberto Noghera e tanti, tanti altri fra cui il non dimenticato Carlo De Angeli industriale di fama e presidente dei “riservisti italiani”, l’avvocato Giacomo Griziotti, il professor Remo Faustini prorettore alla Statale, Luigi Consonni inventore della Fiera di Seveso, capace organizzatore di iniziative che seppero varcare i confini di Lombardia e Giuseppe Negri direttore di Caccia e Pesca e  che amò d’un affetto vero. Ha scritto pagine e pagine tanto da farne 40 volumi, tutti di successo, destinate a rimanere nella memoria collettiva e  nella letteratura e nella storia. C’è chi ricorda “Padelle e centrate” chi invece “Dall’Allodola all’Elefante” e chi rilegge “Beccacce a sbattinfaccia” oppure quell’inarrivabile “I preumani della caccia” dove ogni pagina somiglia ad un lembo di commedia all’italiana..

Su “Il Beccaccino parlante”, mensile stralunato, geniale e coinvolgente raccontava l’attualità sorridendone ed immaginando un futuro poi diventato vero. Ridisegnava con un linguaggio colorito vicende di beccaccini e starne, Colini della Virginia e tortore del Magreb, raramente – e quando accadeva pretendeva la promessa, da me sempre onorata, del segreto – svelando confidenze di un’esistenza che fu eroica e mai di carta come lo divennero invece le sue avventure di caccia. Primo ad entrare a Tobruk il 21 giugno 1942 alla testa di una colonna di carri armati (ebbe la croce di guerra e la menzione dal generale Rommel), fu, nel deserto libico, in testa alla squadra dei suoi carristi il terrore degli Inglesi. Adorato dai suoi soldati, divenne patriota negli anni della guerra civile quando passò 48 volte il confine con la Svizzera sempre rischiando la vita per portar in salvo quella degli altri. Anche allora non rinunciò nelle stagione dei beccaccini e nei giorni delle beccacce a preferire a mitra e pistola il fucile a pallini. Con Luciano Ferriani, incisore, pittore, artista con il tarlo dell’Editoria diede vita a periodici di caccia e collane di classici dell’arte venatoria e dell’ornitologia. Avvocato di fama, nella difesa dei cacciatori era avaro di parcelle e prodigo di consigli. Presidente della sezione comunale Federcaccia di Milano la portò allo splendore d’esser prima in Italia.Laico a parole e con improvvise incursioni nell’universo della fede  fu primo promotore della Madonna del Beccaccino, una tela di pregio dipinta da Annobale Cerutti e custodita nella chiesa di Casei Borroni nel Pavese.  Ebbe dalla Federazione la medaglia d’oro di Gentiluomo Cacciatore ed impreziosì un albo d’oro che comprende, fra gli altri, De Martino, Luigi Angeletti segretario generale UIL ed Andrea Monorchio già ragioniere dello Stato. Con Giuseppe Negri fu a Milano il direttore di Caccia & Pesca ed io, insieme a loro, a completar l’equipe: fu una stagione della nostra vita mai dimenticata, indimenticabile e che Giuseppe, per primo, da quasi otto anni oramai, ha portato nel suo silenzio. Erano i giorni dell’occupazione delle fabbriche, dei cortei alla Statale e di Mario Capanna che incideva un nuovo volto alla storia. Erano le notti della banda Vallanzasca, del maresciallo Oscuri e dei suoi della Volante.Erano i mesi della caccia da rifondare con Rosini, Migliorelli, Bana, Fabbri, Buzzini, Locatelli ed altri che gli anni a venire avrebbero incastonato in un’epoca di titani. Erano i nostri giorni, e lui li ha percorsi da protagonista mantenendo sempre il volto sereno di uomo sereno.

Rodolfo Grassi

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